La danza nell’Antico Egitto

La maggior parte delle nostre conoscenze sulla danza nell’Antico Egitto si basa sui geroglifici, sulle decorazioni e sui reperti che sono stati rinvenuti nelle piramidi e nei templi dedicati alle numerose divinità. Molti di questi reperti contengono testimonianze di miti egiziani, i cui temi ricorrenti sono la nascita, la maturità, la morte e la resurrezione, vale a dire lo schema stagionale. Una ciclicità che andava protetta, tramite costanti preghiere e offerte agli dèi, per far sì che il Paese prosperasse. Dal momento che i templi erano interdetti al popolo, solo i sacerdoti ed il faraone potevano accedervi, le processioni nell’Antico Egitto erano gli unici momenti in cui le classi sociali inferiori potevano partecipare alle rappresentazioni di musica e danza.
I bravi danzatori erano apprezzati dal popolo e dalle classi superiori che possedevano schiavi per intrattenere gli ospiti durante i loro banchetti. I nobili non comparivano nelle danze sociali, ma i giovani delle classi superiori venivano istruiti alla musica e alla danza prendendo parte alle cerimonie nei templi.

La danza in Egitto
La danza nell’Antico Egitto veniva usata come intrattenimento durante i ricevimenti, come saluto al defunto durante la cerimonia funebre, per onorare le divinità nelle celebrazioni religiose. I ballerini, sia uomini che donne, potevano partecipare in coppia o in gruppo, e cimentarsi in una danza acrobatica come l’immagine della ballerina di Deir el-Medina. Si pensa, comunque, che le donne venissero preferite agli uomini per la grazia e l’eleganza dei loro movimenti.
Per esempio, la danza degli specchi vedeva un gruppo di giovani donne muoversi in maniera armoniosa con lunghi abiti bianchi, gioielli multicolore e un’acconciatura formata da lunghe trecce che terminavano con dischi di metallo colorato. Le donne tenevano in mano degli specchi con manici decorati con immagini della Dea Hathor.
Le danze facevano parte anche delle cerimonie religiose e nel Medio Regno alcune celebrazioni funebri erano accompagnate dai Muu, attori-danzatori che si pensava accompagnassero i defunti fino all’ingresso della necropoli.
Per la sua grande varierà, la danza nell’Antico Egitto era divisa in quattro tipologie:
iba, le danze lente;
khebet o danze saltate;
keskes, le danze sincopate;
tjenef, ovvero le danze mimate.

La musica in Egitto
Secondo Platone, gli antichi egizi studiavano fin dalla gioventù danza e musica. L’interesse per queste due arti era dovuto agli effetti benefici che avevano sul corpo e sull’anima di ogni individuo.
I primi strumenti musicali di cui si trova testimonianza scritta nei testi egiziani sono gli idiofoni. Questi oggetti producevano un suono simile al battito delle mani ed erano costituiti da due semplici bastoncini a percussione reciproca, in legno o avorio. Nel Museo Egizio del Cairo e in quello di Torino sono conservati bellissimi esemplari di questo strumento.
Oltre i tamburelli, il flauto obliquo, dritto o doppio ed i clarinetti, uno degli strumenti più utilizzati già dall’Antico Regno era il sistro, che produceva un suono che assomigliava ad un tintinnio. Il sistro suonato dalle sacerdotesse durante le cerimonie religiose veniva chiamato sekhem, mentre il sitro sesheshet prodotto con materiali preziosi era un semplice oggetto di culto simbolico. Il sistro era legato alla Dea Hathor, la cui testa femminile dalle orecchie bovine compaiono nel punto di giunzione fra il manico e la parte che produce suono. La Dea Hathor, era una divinità che simboleggiava il nutrimento del sovrano ed aveva in sé il concetto di fertilità, di amore e di creazione.
Quasi tutti gli strumenti musicali erano riccamente decorati lapislazzuli ed elementi in oro.
Talvolta le fanciulle intente a suonare sono raffigurate in abiti succinti, proprio come le danzatrici, cosa che ci induce a pensare che esse potessero svolgere, all’occorrenza, entrambi i ruoli. Hathor e Bes erano i protettori della danza e della musica, e molte ballerine avevano sulla gamba un tatuaggio raffigurante Bes, che era anche il dio della fertilità e del parto.

Inizialmente la musica scandiva i momenti più importanti delle attività religiose nei templi, in seguito canti e balli accompagnarono ogni festa reale o banchetto nelle abitazioni private. Grazie agli scambi commerciali e alle conquiste effettuate nel Nuovo Regno si diffusero in Egitto molti strumenti di origine asiatica e furono introdotti il liuto e la lira.
L’abbigliamento dei danzatori
Nell’Antico Regno troviamo danzatori raffigurati con grembiuli da uomo e sciarpa, che indossavano nastri intorno al petto.
Nel Nuovo Regno i ballerini indossavano solamente una cintura o una sciarpa sui fianchi, a volte con una veste trasparente. Per le donne il seno rimaneva scoperto, ma si adornavano con braccialetti, nastri, orecchini d’oro e ghirlande sul capo. Avevano abiti di lino finemente pieghettato, gioielli e un cono di cera profumata sulla parrucca, che durante la serata si sarebbe sciolto emanando un piacevole profumo. Gli occhi dei ballerini erano fittamente delineati con il kohl. Gli uomini avevano i capelli corti e in genere indossavano abiti comuni.
I contatti dell’Egitto con il vicino Oriente, porteranno la danza a divenire più sensuale e i movimenti si faranno più flessuosi ed aggraziati. Di conseguenza, le lunghe vesti delle ballerine si trasformeranno in abiti succinti, spesso ridotti a corti e trasparenti gonnellini, anche per una questione di comodità nei movimenti acrobatici. Questo sfocerà nella danza del ventre.

Danze funerarie
Fino al Medio Regno si svolsero danze di guerra dal contenuto simbolico, che rappresentavano la vittoria. Ma anche nell’ambito funerario troviamo presenti molte scene di danza. Le danze di carattere funerario erano eseguite solo da donne.
Gli artisti dell’Antico Regno durante i funerali si rivolgevano ad un gruppo di danzatrici professioniste chiamato La casa di acacia. I ballerini sono spesso ritratti mentre intrattengono il defunto, che ringiovanito mentre mangia dal tavolo delle offerte.
Durante i periodi del Medio e del Nuovo Regno, veniva praticata una danza funebre dedicata a Hathor, dea che guidava i morti nell’aldilà. Tale danza consisteva in una serie di salti che accompagnavano una preghiera recitata al suono delle percussioni.
Nelle sepolture dei nobili, nelle loro “case per l’eternità” vi erano raffigurati i momenti di massima felicità vissuti: erano rappresentate scene che mostravano le attività della vita quotidiana, sia nei momenti di impegno che in quelli di svago. Possiamo vedere perciò il defunto che, accompagnato dai membri della sua famiglia, si reca a pescare, ma anche mentre condivide momenti conviviali con musicisti e ballerini.

Il Dramma Sacro di Abido
Il rito egiziano più importante era il cosiddetto Dramma Sacro di Abido, che rievocava la morte e la resurrezione del Dio Osiride. Secondo la mitologia egiziana, Osiride (figlio di Geb, la Terra, e di Nut, il Cielo) successe al trono di suo padre e sposò la sorella Iside. Suo fratello Seth, geloso del potere di Osiride, lo uccise, ne smembrò il corpo e seppellì i vari pezzi in differenti luoghi d’Egitto. Iside raccolse allora le membra sparse e con l’aiuto di Anubi, diventato in seguito il dio dell’imbalsamazione, fece rivivere Osiride. Questo dopo essere stato seppellito ad Abido, si recò negli Inferi dove divenne il giudice delle anime. Horus, figlio di Osiride, combatté contro Seth, riconquistando il regno del padre.

L’Aida
L’Aida è un opera in quattro atti di Giuseppe Verdi, su libretto di Antonio Ghislanzoni. Commissionata da Ismail Pascià l’opera doveva celebrare l’apertura del Canale di Suez e doveva rappresentare la grandezza dell’Egitto. A causa della guerra franco-prussiana, fu rappresentata per la prima volta al Teatro dell’Opera del Cairo il 24 dicembre 1871, un anno dopo l’apertura del Canale di Suez. La prima italiana di svolse, sei settimane dopo, al Teatro alla Scala di Milano. Nella grandiosità della scenografia il compositore volle emulare la grandissima epopea dei faraoni e le scene furono basate sulle descrizioni storiche e i costumi disegnati sui modelli dei bassorilievi dell’Alto Egitto. Proficua fu la collaborazione fra Giuseppe Verdi e Auguste Mariette, che in quel momento era il più grande egittologo. La storia dello sfortunato amore tra la principessa etiope Aida, resa schiava in Egitto, e il giovane guerriero Radamès, promesso sposo della figlia del Faraone, ancora oggi infiamma i palcoscenici di tutto il mondo.

Per saperne di più:
- Vittorino D’Ancona, Mitologia Egizia: Alla scoperta dell’Antico Egitto. Un viaggio tra Divinità, Faraoni e Leggende che hanno reso senza tempo la Storia Egizia, 2021
- Giuseppe Verdi e Antonio Ghislanzoni, Aida. Libretto, Aonia Edizioni, 2019
In copertina: Rappresentazione di Iside, 500 a.C.
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Serena Ceprani
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