La Danza nel Quattrocento

Il Rinascimento fu un’epoca di grandi cambiamenti culturali in ogni aspetto della vita dell’uomo: dalla pittura alla politica, passando per la letteratura e la religione. Anche la danza venne coinvolta da questi cambiamenti epocali.
Il Quattrocento e il ruolo dell’uomo
Il Quattrocento è caratterizzato da una forte riscoperta dei testi classici. Il loro studio e la riflessione su di essi, comporta l’elaborazione di una visione del mondo completamente diversa da quella medioevale.
In epoca medioevale la centralità della figura di Dio nell’universo, aveva portato ad un ideale ascetico, caratterizzato da una vita contemplativa e ritirata dal mondo, con la rinuncia dei beni terreni e con il distacco dalle passioni.
La riscoperta dei classici ribalta la situazione, l’uomo riscopre l’importanza dell’individuo e delle sue azioni per il raggiungimento di quello che era considerato il bene più prezioso, la gloria. L’uomo rinascimentale è artifex sua fortuna, artefice del proprio destino e della propria fortuna. Per sviluppare le proprie qualità ogni uomo deve entrare in contatto con i propri simili e partecipare alle arti politiche, militari ma anche culturali e ludiche.

L'arte nel Quattrocento
Il Quattrocento è un epoca di grande sviluppo e trasformazioni per l’arte. Gli artisti quattrocenteschi rivoluzionano le regole della pittura, dell’architettura e della scultura.
Sono tre le grandi conquiste del Quattrocento:
- la prospettiva,
- le proporzioni,
- l’anatomia.
Alla base di queste scoperte c’è la necessità e il desiderio di fare dell’arte uno strumento per indagare la realtà e la condizione umana. L’uomo è il grande protagonista della pittura, della scultura e dell’architettura nel Quattrocento. Gli artisti ricercano l’armonia delle forme, l’equilibrio e le proporzioni tra tutti gli elementi delle opere. In architettura si progettano le prime “città ideali”, rigorosamente ordinate e con delle geometrie ben precise.
S’inizia a studiare anche l’anatomia per conoscere le giuste proporzioni del corpo umano e per rappresentarlo, il più possibile, vicino alla realtà. Grazie alle leggi matematiche lo spazio verrà meglio rappresentato e la prospettiva darà esattamente la percezione della profondità spaziale (tridimensionalità).
I soggetti delle opere non saranno più solamente religiosi, come avveniva in età medioevale. Grazie allo sviluppo del mecenatismo dei potenti signori si ritornerà a realizzare i ritratti, perché tutti questi grandi Signori e Principi che commissionavano le opere, erano desiderosi di celebrare loro stessi e il prezioso ruolo che avevano nella società.

Gli artisti alla conquista di un ruolo di prestigio
All’interno del mondo rinascimentale, per la prima volta, l’artista conquista rispetto e prestigio in società. Fino a quel momento professare un’arte meccanica, ossia un lavoro manuale, era considerato avvilente. Per questo era raro che un rampollo di buona famiglia intraprendesse una carriera nel mondo dell’arte.
Ad imprimere una svolta nella considerazione degli artisti è anche la sempre maggior qualificazione necessaria che serve per realizzare le grandi opere commissionate dai mecenati dell’epoca.
Un esemplare grande artista del periodo è Filippo Brunelleschi. Architetto ingegnere e scultore, si avvalse di raffinate conoscenze scientifiche per realizzare il suo capolavoro, la cupola della chiesa di Santa Maria del Fiore a Firenze.
Un altro artista che impersona in maniera compiuta la figura dell’artista rinascimentale è Michelangelo Buonarroti. Pittore, scultore, architetto, ingegnere e poeta è noto per i suoi affreschi alla Cappella Sistina, ma anche per il carattere che lo porterà a scontrarsi più volte con uno dei suoi mecenati più importanti, papa Giulio II.
Il Cortigiano
Le corti principesche italiane, come quelle dei Visconti, degli Sforza, degli Este, dei Gonzaga, dei Medici, dei Montefeltro o dei Della Rovere sono i centri da cui s’irradia la cultura rinascimentale. Anche i pontefici sono committenti di alcune delle principali opere d’arte e svolgono un’intensa opera di mecenatismo.

In questi ambienti va sviluppandosi una figura a cui i contemporanei, che aspirano all’ascesa sociale, devono cercare di adeguarsi: il cortigiano.
Baldassarre Castiglione nel 1528 dedicherà a questa figura la sua opera principale: Il Cortegiano.
Si tratta di un’opera in cui i diversi personaggi discutono su quali siano le caratteristiche del vero gentiluomo di corte.
Il cortigiano deve essere in grado di eseguire in maniera esemplare tutte le varie attività che si svolgono a corte: danza, musica, composizione di versi e tornei cavallereschi senza far trasparire la fatica.
Tuttavia il compito principale del cortigiano è quello di consigliare al meglio il proprio principe, che a sua volta deve prestare ascolto ai suggerimenti dei saggi e dei competenti uomini di corte di cui si è circondato.
La danza nelle corti italiane del Quattrocento
Tra il Trecento e il Quattrocento la danza entra a far parte della vita mondana e dell’educazione dei cortigiani. Apprezzata dalle celebri dame come Isabella d’Este e Lucrezia Borgia, la danza si trasforma in una disciplina d’arte.
Nelle corti e nelle piazze cittadine, diventa parte integrante dei festeggiamenti che segnano gli eventi importanti, come i fidanzamenti e le nozze o le visite dei personaggi di rango. I cortigiani passano dall’essere spettatori a partecipare alle danze. La danza, diventa un utile strumento di educazione al tempo stesso del corpo e della mente, proprio come indicato dagli ammirati autori greci.

Ogni Signore misurava il proprio prestigio organizzando feste danzanti sempre più sfarzose. Matrimoni, nascite, visite prestigiose, ogni evento era un’ottima occasione per far festa. E più sontuosa era la festa più prestigio dimostravano le famiglie.
La nascita dei primi maestri di danza
Fino a questo momento il danzatore era stato un mimo ambulante, un giullare di poco conto. Dal Quattrocento in poi il maestro di danza occupa in Italia una posizione degna di rispetto. Spesso accompagna il principe e diviene il suo uomo di fiducia in importanti cerimonie. Ad esempio a Venezia, dove la cerimonia della presentazione della sposa era una cerimonia che si svolgeva in silenzio e a passi di danza, il maestro poteva prendere il posto del padre degli sposi.
Quindi, il maestro diventa un cortigiano-professionista, che viene ricompensato per i suoi servizi. Nel XV secolo i maestri sono piuttosto numerosi in tutta Italia. Tra questi ebbe un ruolo fondamentale Domenico da Piacenza. Questi lavorò presso la corte degli Este, dove percepiva un salario fisso: il suo compito principale era quello di creare danze per le frequenti celebrazioni festive.
Domenico da Piacenza
È il maestro di danza Domenico da Piacenza, anche detto Domenichino da Ferrara, che farà accettare, al potere costituito e alla collettività, la danza come arte liberale di pari dignità rispetto alla musica e alla pittura.
Nel Quattrocento, esattamente come era successo alla danza, anche la musica e la pittura stavano subendo una revisione teorica. La conseguenza dell’accettazione della danza come arte di pari dignità, fu la legittimazione della professione del ballerino. Questa accettazione è simbolicamente rappresentata dalla nomina di Domenico a Cavaliere, una delle cariche più alte cui poteva accedere un uomo che non fosse nobile di nascita.
Domenico da Piacenza è anche il primo maestro che abbia lasciato un trattato: De arte saltandi et choreas ducendi. De la arte di ballare et danzare. L’opera, conservata alla Biblioteca Nazionale di Parigi, è divisa in due parti:
- la prima è teorica, con introduzione e trattazione di moti e misure, con l’elenco delle quattro danze fondamentali (bassadanza, quaternaria, saltarello e piva) e la descrizione delle necessarie doti fisiche e intellettuali del buon ballerino;
- la seconda è pratica, con la descrizione e la notazione musicale di diciassette balli più cinque basse danze prive di musica.
Tra le danze che troviamo descritte ci sono Belriguardo, Ingrata, Gelosia, Prigioniera, Belfiore, Anello, Marchesana, Mercanzia: di ognuna vengono specificati gli interpreti, sia per genere che per numero, e sono indicate le posizioni di partenza, i passi, le traiettorie e il tempo che ogni danza segue.

Guglielmo Ebreo da Pesaro e Antonio Cornazano
Uno dei maestri di ballo più famosi del Quattrocento è Guglielmo Ebreo da Pesaro, ribattezzato Giovanni Ambrosio dopo la sua conversione al cattolicesimo. Allievo di Domenico da Piacenza, mette mano ad un altro importante trattato dell’arte del ballo, il De pratica seu arte tripudii vulgare opuscolum.
Egli elenca le 6 regole basilari del danzare:
- misura, la concordanza tra tempo e spazio
- memoria, l’attenzione
- compartimento di terreno, inteso come spazio
- maniera, che definiremo stile
- movimento corporeo, il tipo di movimento
- aere, il contegno di un ballerino
Vi sono poi il tempo e la riverenza, cioè la prima serie di figure che apre la danza, importantissima nella società galante.
Descrive anche una serie di esercizi utili ad affinare le capacità del ballerino.
Antonio Cornazano invece partendo dal testo del suo maestro Domenico da Piacenza scrive il Libro dell’arte del danzare. Nel trattato specifica e arricchisce le danze già descritte in precedenza dal suo maestro e per la prima volta utilizza il termine ballitto.
Quindi, nelle danze di corte vediamo che va scomparendo ogni forma di improvvisazione e spontaneità dettata dalla fantasia del danzatore. La pantomima, prima dettata dalla libera interpretazione dei danzatori, ora segue regole imposte dei maestri di danza.
La danza è ormai un’arte con un sistema di regole ben definite. I ballerini devono imparare posizioni e figure, ed è questo il fine dei manuali di danza.
Le danze del Quattrocento
Le principali danze codificate nei trattati quattrocenteschi sono:
- bassadanza,
- la quadernaria,
- il saltarello
- la piva
Tutte provengono da un contesto popolare e di questo mantengono l’originario carattere legato alla mimica del corteggiamento. Vengono però rese più raffinate dai maestri di danza per adeguarle alle nuove esigenze mondane delle corti.
La bassadanza, comincia ad essere praticata alla fine del Trecento e nel Quattrocento diventa la danza preferita nelle corti. Lenta e solenne, il suo stile processionale consentiva di ordinare le coppie secondo un senso gerarchico, evidenziando il rango dei partecipanti.
La quadernaria, molto diffusa anche in Germania, consisteva in due passi semplici seguiti da una battuta ed una ripresa. Il suo nome deriva dal ritmo in 4/4.
Il saltarello è per eccellenza il ballo italiano cosiddetto alto, anche se non venivano eseguiti veri e propri salti, bensì passi doppi intervallati da un rapido saltello. Solo i danzatori più bravi potevano permettersi di alzare i piedi da terra.
La piva, invece, consisteva in passi semplici e doppi, saltelli, galoppi e mezzi giri. Era una danza campestre che venne abbandonata dalla nobiltà già a metà del Quattrocento.
Il ballo diventerà sempre più elaborato, contaminando passi e movimenti delle quattro danze principali e sviluppando l’azione drammatica attraverso un linguaggio mimico altamente formalizzato.
Grande era l’impegno richiesto agli esecutori che, non essendo professionisti, dovevano sostenere lunghe ed estenuanti prove sotto la guida di un maestro.

Per saperne di più:
- Curt Sachs, Storia della danza, Il Saggiatore, Milano, 1966
- Guglielmo Ebreo da Pesaro, La danza nel Quattrocento, a cura di C. Gelmetti, A. Pontremoli, ABEditore, 2017
- Alessandro Pontremoli, Danza e rinascimento. Cultura coreica e «buone maniere» nella società di corte del XV secolo, Ephemeria, 2011
In copertina: Israhel van Meckenem, The Dance at the Court of Herod (1500 ca), National Gallery of Art, Washington DC
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Noemi Sammarco
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2 risposte
Molto interessante.Per conoscere lo sviluppo di quest’arte è importante conoscerne la storia
Grazie mille Alessandro, continua a seguirci e iscriviti alla newsletter per ricevere aggiornamenti!