Il charleston e i ruggenti anni Venti

Stati Uniti, anni Venti: è l’era del proibizionismo, dei gangster, della musica dal vivo, che imperversa nelle sale da ballo, del charleston. Siamo nei cosiddetti anni ruggenti, che restano ancora vivi nell’immaginario collettivo, grazie soprattutto alla potenza delle immagini del cinema.
Anni che segnarono anche l’avvento del sonoro al cinema, la realizzazione di uno dei primi prototipi di televisione, l’esplosione del fenomeno old jazz e soprattutto la diffusione dei primi balli swing.
Il periodo storico post-bellico
Il decennio che fa da sfondo alla nascita e allo sviluppo del charleston è un decennio molto particolare. Alla fine del primo conflitto mondiale, concluso nel 1918, si chiude uno dei peggiori capitoli della storia. Nessuno poteva immaginare che, degli anni ancora più duri sarebbero arrivati solo vent’anni dopo. E questo bastava alla popolazione del mondo intero per essere pervasa dalla gioia e dalla voglia di divertirsi. Proprio per questo, il settore dell’intrattenimento crebbe come mai prima di allora.
In uno scenario del genere, ha avuto luogo un incredibile proliferare di nuove forme di ballo. E di nuovi luoghi nei quali tutti potevano andare a scatenarsi. I balli sociali conosciuti come social dance (balli che necessitano di un partner) stavano diffondendosi sempre di più e il charleston era uno dei più gettonati. La popolazione trovava in questa danza una forma di svago inedita fino ad allora. I rapporti sociali e interpersonali vivevano una nuova dimensione, e chiunque uscisse a ballare poteva scegliere un partner sempre diverso, anche nel corso della stessa serata. Chi invece non lo desiderava, poteva comunque esibirsi singolarmente nel cosiddetto solo charleston.

Emancipazione femminile fuori e dentro il charleston
Il periodo del 1920 assunse un’importanza storica altresì fondamentale per le donne.
“Le donne del charleston” non furono, dunque, solo donne che portavano i capelli col taglio garçonne e le gonne corte. O quelle che fumavano e guidavano l’auto. Furono anche e soprattutto le prime donne a godere di un assaggio di parità tra i sessi (almeno politico).
Il charleston, dunque, contribuì anche a rendere più liberi i rapporti sociali. In che modo? La presenza di un partner costante in questa nuova forma di danza era del tutto trascurabile. I frequenti scambi di partner tra un passo e l’altro risultavano del tutto naturali, senza provocare alcuno scandalo.
Se il charleston fu da un lato espressione di una maggiore libertà e simbolo di una timida emancipazione femminile, dall’altro rappresentò un punto di svolta di alcuni stili di ballo.

Le origini del charleston
Alcuni storici fanno risalire i movimenti del charleston a quelli degli scaricatori di porto afroamericani. Proprio nella città di Charleston (nella Carolina del Sud), questi lavoratori movimentavano la merce delle navi cargo facendo dondolare le gambe. Ma altri storici, invece, credono che l’origine di questa nuova forma di ballo frenetico, vada ricercata nelle danze delle tribù africane. Resta certo però l’anno in cui questa danza ha iniziato a diffondersi a macchia d’olio.
L’inizio della popolarità risale al 1923, quando l’impresario George White, dalle banchine del porto di Charleston, portò nei teatri di Broadway lo spettacolo Runnin’ Wild. All’interno del musical – uno dei primi di successo con attori afroamericani – veniva ballata una canzone del compositore James P. Johnson chiamata appunto Charleston. Questo spettacolo fece il giro di tutte le città del Sud degli Stati Uniti. Durante lo stesso anno Ned Wayburn, direttore artistico della compagnia di Florenz Ziegfeld, introdusse un numero di charleston in Follies 1923, in scena al New Amsterdam Theatre di New York. Sulla scia del successo di questi primi esperimenti altri coreografi lo inserirono nei loro spettacoli musicali e nel giro di pochi mesi il charleston raggiunse anche le sale da ballo.

Gangster e charleston
I poli d’irradiazione del nuovo ballo in tutti gli Stati Uniti furono Chicago e New York. New York ospitava i più esclusivi locali riservati alla clientela bianca.
Nel cuore di Harlem si trovavano le elegantissime sale da ballo del Connie’s Inn, del Savoy Ballroom e del leggendario Cotton Club, da cui ne è tratto anche l’omonimo film di Francis Ford Coppola, il cui snodarsi delle vicende è scandito dal ritmo del tip tap e del charleston. Il locale era stato rilevato nel 1922 da Owney Madden, un gangster appena uscito dal carcere, che l’aveva trasformato in un raffinato cabaret. Furono molti i gangster, come Madden, che videro nel talento dei musicisti neri una fonte di ricchezza. Gli artisti che si esibivano al Cotton Club erano tutti di colore. La prima rivista musicale fu messa in scena nel ‘22, ma il locale cominciò a diventare famoso a partire dal ‘25.

La diffusione in Europa
Il 1925 fu anche l’anno della diffusione del charleston in Europa. La canzone “Yes sir! That’s my baby”, che allegava al disco i passi e le figure del ballo, fece il giro del mondo. Per la prima volta, inoltre, fu un ballo americano a raggiungere l’Europa e non viceversa.
In Italia, la canzone arrivò con un altro nome, ovvero “Lola, Cosa Impari a Scuola” e venne addirittura messa al bando perché il suo ballo era ritenuto poco dignitoso dal nostro governo. Infatti, il Ministero della Guerra vietò agli ufficiali di eseguire quel ballo, perché inconciliabile con il comportamento dignitoso imposto dalla divisa.
A Parigi la charleston mania fu portata da La Revue Nègre di N. Sissle, in scena al Théâtre des Champs-Elisées. Nel ruolo di solisti si esibivano Louis Douglas e Josephine Baker, ormai soprannominata la Venere nera per la sua esotica bellezza e per la grande sensualità che emanava.
Aggressiva, trasgressiva e al tempo stesso raffinata, ballava e cantava a ritmo di “Yes, We Have no Banana“. Resta iconica la sua performance in cui si esibiva in uno scatenato charleston, con un gonnellino composto da sedici banane.

Please Charleston Quite
Dopo l’esplosione del charleston a Parigi fu la volta dell’Inghilterra. Nel luglio del 1925 il Dancing Times organizzò un “tè danzante” allo scopo di insegnare ai maestri inglesi la tecnica del nuovo ballo.
Il riscontro con il pubblico apparve travolgente. Difatti, gli inglesi furono colti da una frenesia maggiore rispetto a quella dei parigini. Si ballava per le strade e nelle piazze, spesso provocando ingorghi di traffico. A Londra, nella nota Piccadilly Circus, poteva persino capitare di assistere ad esibizioni improvvisate sui tetti delle auto. Il ritmo era quello del pezzo più in voga allora: “I’d Rather Charleston” di George Gershwin, cantato e ballato dai fratelli Adele e Fred Astaire.
Quando, appeso all’ingresso di molte sale da ballo pubbliche, cominciò a comparire un cartello con la sigla P.C.Q. (Please Charleston Quite), nacque il flat charleston, una versione molto più tranquilla.

Le avversioni nei confronti del charleston
Le avversioni nei confronti del charleston non avvennero solo in Italia. A scagliarsi violentemente contro il nuovo ballo erano in molti. Il Daily Mail arrivò persino a definirlo una reminiscenza dei riti orgiastici dei neri. Da un lato c’erano i soliti benpensanti, che lo condannavano per motivi di pubblica decenza, ritenendolo volgare e degenerato. Dall’altro lato c’era chi, avendo a cuore la salute pubblica, fisica e mentale dei propri concittadini, lo denunciava in quanto pericoloso per le articolazioni. Tuttavia, la tentazione di ballare il charleston doveva essere così irresistibile che, tra smettere di ballarlo o prendere qualche precauzione, prevalse la seconda. Infatti, alcune foto dell’epoca mostrano le ballerine di charleston che, sotto il classico vestitino di lamé, indossavano pesanti ginocchiere.

Tempo di evoluzione
Tra le ballerine indimenticabili ricordiamo inoltre Joan Crawford e Ginger Rogers, entrambe vincitrici di numerose gare di charleston.
Con l’arrivo degli anni Trenta, la nascita di altri balli e l’evoluzione della musica, nel charleston si introdussero movimenti diversi, più morbidi e meno scattosi. Ryan Francois afferma che, lo stile successivo agli anni Venti, non si può definire charleston, ma deve essere chiamato lindy hop.
Con il charleston molti giovani volevano distaccarsi dai costumi della generazione che li precedeva. Volevano danzare, lasciarsi andare, muovere liberamente le braccia e le gambe. Ad oggi il charleston e il suo periodo storico sono ancora vividi nell’immaginario collettivo. Grazie al cinema e alle iniziative mondiali che desiderano far rivivere a tutti la magia del charleston.

In copertina: Ballerine di charleston oggi
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Alessia Branco
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