Cinema e danza: gli esordi

Gli esordi del cinema partono dalla storia dei music-hall, dei cabaret, dei vaudeville fino ad arrivare alle operette e ai balletti: nei primi anni del XX secolo, la danza era la forma d’intrattenimento per eccellenza.
Di pari passo, nello stesso contesto di proliferazione artistica, nasceva il cinema. Fu letteralmente contaminato dall’arte della danza e lo si evince dalle numerose scene di balletti presenti sulle prime pellicole cinematografiche.
Il cinema e le contaminazioni coreutiche
Come forma di spettacolo, il cinema non solo ha preso ispirazione dalla danza per la raffigurazione del movimento, ma ha anche adottato e incorporato altri elementi – prettamente estetici – legati alla spettacolarità delle performances sul palco. Si tratta dell’uso del colore, della musica, della luce e della coreografia.

Ad esempio, al fine di raffigurare lo spettacolo teatrale nel modo più fedele possibile, le pellicole venivano colorate usando procedimenti chimici, come l’imbibizione e il viraggio, eseguiti attraverso l’immersione della pellicola già sviluppata in differenti bagni di tintura; oppure si poteva procedere alla colorazione manuale, stendendo il colore fotogramma per fotogramma (la tecnica più diffusa all’epoca del cinema muto).
Successivamente, sono stati eseguiti esperimenti di sincronizzazione di audio e video per saldare il ritmo della musica o il canto con l’immagine in movimento: il cinema muto non è mai stato realmente silenzioso.
La musica era affidata al gusto e all’improvvisazione del pianista, che vedendo una scena di ballo sul grande schermo, era solito improvvisare un valzer o ricorrere al repertorio nel tentativo di sincronizzarsi all’immagine. Tuttavia, la danza, senza musica o con musica non ben sincronizzata, poteva talvolta creare effetti comici o grotteschi.
Un altro elemento caratterizzante il cinema muto era la recitazione, senza dialoghi.
Essa, infatti, necessitava di un’enfasi mimica e di una gestualità esagerata e la danza, anche in questo caso, rispondeva perfettamente a questo bisogno cinematografico.
Tutta la ricchezza estetica che il cinema ha preso dall’arte della danza, però, non può essere spiegata senza riconoscere gli sforzi creativi dei ballerini professionisti che hanno partecipato alla realizzazione di quei film.
Gli artisti del cinema muto
Le star del cinema muto come Pola Negri, Ossi Oswalda e Stacia Napierkowska ad esempio, erano tutte ballerine classiche divenute in seguito attrici.
E insieme a tutte queste donne, che hanno contribuito attivamente allo sviluppo del cinema con le loro capacità creative e artistiche, troviamo anche numerosi acrobati, illusionisti, cowboys, maghi e comici divenuti poi famosi attori del cinema.
Buster Keaton, ad esempio, era anche lui proveniente dal comune terreno d’incontro tra cinema e arti del palcoscenico. Vera icona comica dell’era del muto, Keaton era figlio di artisti del vaudeville e aveva iniziato ad esibirsi sul palco sin da giovanissimo. Allo stesso modo, un’altra icona dell’era del muto, Charlie Chaplin, iniziò la sua carriera nei music–hall insieme a suo fratello Sydney.
L’orientalismo e la sua influenza nell’arte
Keaton e Chaplin sono rappresentanti del rapporto simbiotico tra cinema e teatro, ma per quanto concerne il rapporto cinema-danza troviamo un maggiore consolidamento tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, quando in occidente scoppia una nuova corrente artistica: l’orientalismo.
Questa nuova corrente artistica tendeva proprio all’imitazione dell’arte orientale. Il modo più semplice e di immediato rimando a tale cultura, prevedeva l’utilizzo del velo. L’arte coreutica occidentale viene contagiata e contaminata da questi impulsi orientaleschi, ma la fase di innovazione avviene con la compagnia dei Ballets Russes fondata da Sergej Diaghilev.

Due figure emblematiche che apriranno una nuova strada alla danza, attingeranno all’orientalismo: Loïe Fuller e Ruth Saint Denis.
La prima con La danse Serpentine del 1892, rivisita la famosa danza dei veli. E Ruth Saint Denis, convinta del contatto tra umano e divino nella danza, nel suo numero mistico Il delirio dei sensi, interpreta la dea Radha.

La nuova forma di danza conquistò letteralmente la cinematografia dell’epoca, tant’è che i fratelli Lumière – considerati i padri fondatori del cinema – continuarono a sperimentare il fissaggio del movimento sulla pellicola filmando proprio dei balletti che impiegavano l’uso di veli. L’attenzione del cinema era concentrata sui movimenti oscillanti e seducenti, che conquistarono la cinepresa e l’audience. È grazie a questi filmati se oggi godiamo della testimonianza di una nuova idea di danza pensata da Loïe Fuller, basata sugli effetti combinati del movimento del corpo, con stoffe e luci colorate.
Il cinema e Loïe Fuller
Fisicamente non molto alta, ma aggraziata e di bell’aspetto, Loïe Fuller non si definì mai una danzatrice nel senso stretto della parola: non aveva mai studiato danza, ma riteneva il movimento corporeo una necessità imperativa per l’espressione teatrale. Loїe Fuller fu in grado di creare una sintesi tra cinema e danza così forte da risultare inseparabile.
Quando mette in scena la sua celebre danza serpentina, sembra di guardare una tela in movimento: la Fuller invade lo schermo con il suo costume, il movimento ritmato e le figure elusive della danza. Il suo corpo diventa un tutt’uno con il suo vestito, e diventa quasi un oggetto astratto che cambia forma ogni volta che si muove. Qualunque sia il nome con cui si definisca la sua danza – danza delle farfalle, danza dei fiori o danza serpentina – Fuller incanta costantemente gli spettatori con le sue due ali giganti. È dinamica, elegante e forte.

L’avvento del sonoro nel cinema
Avvento del sonoro nei film arriva nel 1926 quando la Warner Bros. inventa il metodo Vitaphone con il quale realizza ben 8 cortometraggi.
L’invenzione c’era già stata qualche anno prima, nel 1923 da una piccola società indipendente che non aveva saputo sfruttare questa fortuna. La vera svolta arrivò solo nel 1927 quando sui grandi schermi approdò Il cantante jazz la prima pellicola in cui parte delle sequenze erano accompagnate dalla musica e dalle parole dell’artista. Nel 1928 uscì il primo film interamente sonorizzato: The lights of New York di Bryan Foy.

Cantando sotto la pioggia
Un film che viene ritenuto da molti il più bel musical di tutto il cinema, per ironia, fantasia, intelligenza e qualità musicale è Singin’ in the Rain (Cantando sotto la pioggia). La storia parla dell’invenzione del doppiaggio, del passaggio dal muto al sonoro.
Siamo nella Hollywood del 1927. Don Lokwood, attore del cinema muto, è l’idolo degli spettatori che amano l’avventura. Ma la Warner ha prodotto Il cantante jazz e gli attori si trovano improvvisamente a dover prendere lezioni di dizione. Qualcuno ha attitudine, qualcun altro no: come la prima diva, viziata e cattiva, che ha la voce troppo stridula per integrarsi. Così la Monumental, casa di produzione evidentemente ispirata alla Universal, ricorre allo stratagemma di farla doppiare da un’altra attrice. Così il cinema e l’amore, alla fine, trionfano. Fra Gene Kelly che balla con Donald O’Connor e Debbie Reynolds, sono presenti molte scene entrate nel mito: dal fantasmagorico ballo di O’Connor che si arrampica sui muri, alla tenda che smaschera il trucco del doppiaggio davanti a centinaia di persone, dal numero centrale di Cyd Charisse moderna e sexy, allo strepitoso Gene Kelly che canta e balla sotto l’ombrello.
Tutto è attuale, il sapore, i contenuti, l’ironia, i tempi. Soprattutto la tecnica, incredibilmente, non appare obsoleta. La memoria del cinema rimanda, fra le tante sequenze degne di essere ricordate, a quella prima del film parlato, coi disastrosi disguidi relativi, come il sincrono che salta.

Il film The Artist
Il film francese The Artist del 2011 ricalca la storia della fine del cinema muto e l’avvento del tip-tap con la nascita del musical. La vicenda si ambienta ad Hollywood nel 1927. George Valentin è un notissimo attore del cinema muto. I suoi film avventurosi e romantici attraggono le platee. Un giorno, all’uscita da una prima, una giovane aspirante attrice lo avvicina e si fa fotografare sulla prima pagina di Variety abbracciata a lui. Di lì a poco se la troverà sul set di un film come ballerina. È l’inizio di una carriera tutta in ascesa con il nome di Peppy Miller. Carriera che sarà oggetto di una ulteriore svolta quando il sonoro prenderà il sopravvento e George Valentin verrà rapidamente dimenticato.
Era già l’era del 3D quando il regista Michel Hazanavicius portava sullo schermo questa perla. Non un film in bianco e nero non sul cinema muto, ma addirittura un film muto. Con musica e cartelli su cui scrivere le battute dei personaggi. Il film non passa solo nei cinema d’essai, ma ha un grandioso successo vincendo cinque Premi Oscar, tre Golden Globe, sette BAFTA e sei César. Al festival di Cannes del 2011, il protagonista Jean Dujardin ha vinto come Miglior interprete maschile.

Il rapporto indissolubile fra cinema e danza
Al di là di ogni tentativo di catalogazione, ci si accorge rapidamente che, nel Novecento, tracciare un confine tra la storia del cinema e la storia della danza è un’impresa più che mai ardua. Perché questi due mondi sono profondamente legati tra loro da un filo indissolubile, un amore carico di passione, necessario al continuo rinnovamento delle proprie forze comunicative ed espressive.
All’interno della sterminata e varia produzione cinematografica, si è creato così un intero filone che si dedica esclusivamente alla musica e alla danza: si tratta dei musical cinematografici e dei film musicali.

In copertina: Jean Dujardin e Berenice Bejo in The Artist
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Alessia Branco
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